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I prestiti personali sono generalmente richiesti dalle famiglie per far fronte a spese che non richiedono un esborso particolarmente rilevante, come accade ad esempio per i mutui per l’acquisto di un’abitazione. Tuttavia, soprattutto in tempi di crisi economica, il costo di un prestito personale può diventare esagerato e a volte anche proibitivo. In media almeno la metà del costo di un prestito personale se ne va in spese, tra commissioni, istruttoria, polizze e imposte. E poi c’è la quota interessi, che le banche si fanno pagare profumatamente.

Secondo un’indagine di CorrierEconomia effettuata su 6 big del credito in Italia (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca, Bnl e Bpm) e su Poste Italiane, a fine aprile 2013 per un prestito di 5mila euro da restituire in 24 mesi viene applicato un tasso medio del 13,2% con un costo medio del prestito pari a 782 euro. Per un prestito di 15mila euro da rimborsare in 72 mesi, il tasso medio applicato è pari al 12,04% per un costo medio del prestito di 6.615 euro.

Il picco si raggiunge con Unicredit, con un costo del prestito che tocca quota 8.024 euro, più della metà dei soldi ricevuti. Nel calcolo dei costi rientra anche la polizza assicurativa, che copre i casi di morte, invalidità e perdita del posto di lavoro. In teoria è facoltativa, come indicato dall’Antitrust e dal decreto sulle Liberalizzazioni, ma in pratica viene “imposta” ai clienti altrimenti quasi sempre il prestito non viene concesso. Per prestiti di 15mila euro, il costo della polizza sfiora anche i mille euro (con Unicredit 972 euro, in media pesa quasi 800 euro).

Il risparmiatore dovrebbe trattare sempre su questo punto, confrontando i costi praticati da tutte le banche richiedendo il modulo Ebic (anche se in banca è spesso un optional). Poi c’è la questione tassi, che con Unicredit possono addirittura superare il 16% per importi di 5mila euro da rimborsare in 36 mesi. L’altro punto è il conto corrente, che va spostato per ottenere il denaro in prestito e tassi più convenienti. Secondo Altroconsumo, accade nel 57% dei casi ed è assolutamente una “pratica scorretta”.

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