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La banca più antica del mondo è in Italia, a Siena, ma questa stessa banca oggi potrebbe essere a rischio fallimento. La parola fallimento, sebbene sia stata parecchio utilizzata nel corso degli ultimi giorni, non piace però a MPS, che proprio ieri ha definito questo termine improprio e privo di fondamento in un comunicato stampa diffuso al temine della riunione del Consiglio di amministrazione, nel quale ha espresso profondo sconcerto per la leggerezza con la quale vengono trattate le vicende legate alla banca e per il modo in cui alcuni personaggi stanno speculando sulla questione.

La pratica della speculazione però sembra essere piuttosto conosciuta a Siena, dal momento che l’intento perseguito attraverso gli strumenti finanziari di cui si continua a parlare in questi giorni (Alexandria, Santorini e Nota Italia) era proprio quello di procurare dei guadagni, nonostante si trattasse di veicoli di investimento piuttosto lontani dall’attività di erogazione del credito propria di una banca, soprattutto se fortemente legata al territorio come MPS. La speculazione però in questi casi non ha avuto esito positivo, in quanto alla fine questi stessi strumenti hanno arrecato solo danni.

Si prenda ad esempio il caso di Nota Italia, un’operazione finanziaria realizzata nel 2006 da MPS e JP Morgan mediante la quale la banca senese puntava a realizzare dei guadagni vendendo credit default swap (Cds) trentennali sull’Italia, ossia titoli che consistono in una sorta di assicurazione in caso di fallimento dell’Italia. Il problema è che JP Morgan, come qualunque altra banca internazionale, non avrebbe mai acquistato Cds da una banca italiana, in quanto in caso di fallimento del Paese sarebbero fallite anche le sue banche. Da qui la nascita di Nota Italia, un titolo strutturato emesso da Corsair Finance, una società-veicolo irlandese  costruita da JP Morgan, e comprato da MPS. Una struttura piuttosto complessa, dunque, che ha però consentito a JP Morgan  di acquistare Cds sull’Italia  e a Mps incassare i premi assicurativi. Peccato però che l’intento di realizzare guadagni sia stato vanificato oltre che dalla complessità della struttura anche dalla crisi finanziaria, che ha fatto perdere parecchi soldi all’istituto senese per via dell’impennata dei Cds italiani. Pochi giorni fa la banca ha comunicato di aver ristrutturato tale investimento mediante l’eliminazione della sua componente derivativa legata al rischio sovrano Italia, ma di certo le perdite realizzate non possano essere cancellate.

Allo stesso modo hanno finito per procurare solo perdite anche i due strumenti derivati Santorini e Alexandria, in più come se non bastasse a quest’ultimo sono legate anche una serie di polemiche riguardanti la correttezza delle procedure di approvazione. Stando a quanto riferito da MPS, infatti, Alexandria non fu mai sottoposta all’approvazione del Consiglio di amministrazione, mentre Nomura, con cui la banca ha effettuato l’operazione, afferma che lo strumento fu approvato dai massimi vertici del momento, compreso l’allora presidente Giuseppe Mussari. Sulla questione nei giorni scorsi è intervenuta anche la Banca d’Italia, la quale ha affermato che la vera natura degli strumenti è venuta alla luce solo di recente e che questi sono stati tenuti nascosti all’Autorità di Vigilanza.

Nel frattempo la banca ha continuato ad accumulare perdite anche in relazione alla sua attività principale, ossia quella di prestare soldi: i crediti a rischio ammonterebbero oggi a circa 17 miliardi, il 12% del totale. Lo Stato ha però deciso di intervenire concendo 3,9 miliardi di euro dei cosiddetti Monti bond, sottoposti proprio oggi all’approvazione dell’Assemblea, chiamata a deliberare anche su un aumento di capitale da 4,5 miliardi per l’eventuale conversione degli strumenti.

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